Riempire i vuoti

Ogni creatura o creazione è il risultato di processi. Molteplici fattori interni ed esterni condizionano e determinano l’esistenza degli esseri viventi e degli oggetti.
Angelo Marinelli e Mattia Vernocchi lo sanno bene.
Angelo è nato a Monteiasi, paese della provincia di Taranto. Alle sue origini è fortemente legato anche se vive a Roma ed ha vissuto in Asia. Sotto un’apparente staticità i suoi scatti nascondono un incredibile dinamismo risultando pieni di vita anche quando ambientati in luoghi abbandonati.
Mattia nasce a Cesena ma vive nelle campagne di Gambettola (FC). Ha frequentato l’Istituto d’Arte di Faenza dove è entrato in contatto con la ceramica. Le sue opere sono incredibilmente autentiche e si focalizzano su ricerche e sperimentazioni che fondono materiali e concetti apparentemente incompatibili.
La poetica dell’abbandono, l’analisi del vuoto, la necessità di rinascere sono tematiche affini ai due artisti che le raccontano utilizzando le tecniche a loro più congeniali: la fotografia e la scultura.
Nel progetto “N-structure” Angelo indaga la condizione umana in maniera intima, interrogandosi su quanto le strutture imposte o che ci imponiamo possano limitare le nostre libertà fino a diventare vere e proprie gabbie. Al centro di ogni scatto c’è l’uomo, protagonista della scena insieme alla natura che lo circonda. Angelo decide di ambientare il suo progetto a Bali, in Indonesia, dove il binomio libertà/natura è evidente ma perennemente in bilico. Il risultato è una serie di scatti forti ma che lasciano aperta la porta della speranza, rappresentata da uomini in piedi che non si lasciano schiacciare dal peso delle strutture e che a volte riescono a liberarsene lasciando le gabbie vuote.

Per Mattia le gabbie vuote sono nutrimento, spunto per ricerca e riflessione. Non rappresentano un ostacolo da superare ma un elemento da conoscere. La materia di cui sono fatte convive perfettamente con la ceramica. Nelle sue opere ferro e argilla si fondono per restituire qualcosa di imprevedibile, apparentemente inquietante ma sorprendentemente armonioso. Grazie a lui oggetti abbandonati tornano in vita sotto una nuova veste che assorbe la storia passata e la carica di presente. Vecchi scheletri, risultati di processi industriali e seriali, si ripopolano di materia organica, restituendo allo spettatore scenari che non sono apocalisse ma genesi.